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Quando scoprimmo il mare | When we discovered the sea
Sembra che il mare sia un topos caro al fotografo Luca Prestia. Mentre in Eleven pictures of ordinary fun l’attenzione era riposta sullo scorrere della vita nelle mete estive in periodi diversi da quelli dediti alle vacanze, la nuova Quando scoprimmo il mare si concentra proprio su quest’elemento, mostrando in maniera obiettiva le differenti modalità con cui le persone vi si relazionano.
Spiagge affollate, gruppi sparuti e individui solitari. Nonostante possano essere diverse le motivazioni, tutti si ritrovano a dedicare pensieri e riversare aspettative nei confronti di un’area che in passato veniva vista come foriera di pericoli. Gli scatti incantano per il filo conduttore che li lega, catturano lo sguardo per quello che non hanno in comune, che non è catturabile dall’obbiettivo: lo stato d’animo di chi frequenta il mare, elemento che grazie al talento di Prestia riesce a fare da sfondo e al tempo stesso da protagonista di tutte le foto
(introduzione di Gianluigi Peccerillo per «Artwort»)
«Il bagno in mare era un gioco da bambini e semmai una necessità per certe forme di pesca, ma in genere al mare ci si avvicinava o quasi del tutto nudi per lavorare nell'acqua, o completamente vestiti per lavorare sull'acqua. Né c'era molta propensione per le spiagge e i litorali, scarsamente abitati, esposti ai pericoli del e dal mare, luoghi da cui guardarsi e difendersi. [...] La striscia di terra che separa il mare dagli insediamenti umani è un limes incerto sul quale si costruiscono difese e torri d'avvistamento contro l'invasione dello straniero, dei pirati, delle navi che portano i contagi, dei banditi e dei contrabbandieri».
«Con l'inizio del 1900 il mare diventa una moda, dapprima riservata alle élite europee, successivamente aperta alla totalità della popolazione. Una moda che scaturisce da ragioni inizialmente legate all'ambito della salute del corpo, per poi trasformarsi in una pratica sociale di primaria importanza: luogo di divertimento, di relax, di ostentazione del lusso o di affermazione del proprio status, il mare diventa un elemento 'amico' che il Novecento consacrerà definitivamente come topos vacanziero italiano ed europeo».
«Alla fase della semplice idroterapia marina senza vita di mare, prima elitaria, divenuta poi anche caritativo-assistenziale con gli ospizi e le colonie per scrofolosi, segue la fase del mare come cura, ma anche e soprattutto come piacere di sole, bagni, vita di spiaggia e per sostituire al pallore l'abbronzatura. Con l'aggiunta non secondaria dello svago, divertimento e fuga dalle città, nuovi parametri, su cui si adagia definitivamente la villeggiatura borghese e impiegatizia degli anni trenta e, dopo la pausa della Seconda guerra mondiale, quella di massa degli anni cinquanta-sessanta»
(dal volume di Paolo Sorcinelli, Storia sociale dell'acqua. Riti e cutlure, 1998)
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