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Luca Prestia

Historian and free-lance photographer based in Turin (Italy)
      
Insegnare italiano ai tempi della Brexit. Il caso di Reading
Public Project
Insegnare italiano ai tempi della Brexit. Il caso di Reading
Copyright Luca Prestia and Federico Faloppa 2024
Date of Work Mar 2017 - Mar 2017
Updated Mar 2022
Location Reading
Topics Borders, Culture, Culture stories, Documentary, Editorial, Education, Journalism, Migration, Personal Projects, Photography, Photojournalism, Reportage, Research, Scholars, United Kingdom, University, Youth
Summary
Questo reportage è stato realizzato nel mese di marzo 2017 in Inghilterra insieme all'amico Federico Faloppa, attualmente professore ordinario di Studi italiani e Linguistica presso il Dipartimento di Culture e Lingue dell'Università di Reading.
Vivere nell’Inghilterra di Brexit. Da italiani che insegnano le lingue e le culture d’Italia. Lontani dai riflettori, tutti puntati su Londra. Ma al centro di un mondo tanto anomalo quanto privilegiato per osservare i fenomeni culturali e sociali, quello accademico: quello del dipartimento di Italian Studies dell’Università di Reading. Sonnolento capoluogo della contea del Berkshire, Reading è troppo vicina alla capitale britannica per avere una sua identità culturale precisa, e troppo lontano per farti respirare quel dinamismo multikulti di cui i Londoners vanno (giustamente) fieri. Eppure in questa città adagiata sul Tamigi a sessanta chilometri da Londra esiste un’università con 17mila studenti provenienti da 141 Paesi, un campus pluri-premiato, centri di eccellenza mondiale (Meteorologia, Archeologia, Scienze della nutrizione, Scienze del suolo) e un corpo docenti di una cinquantina di nazionalità diverse.  Tra queste, ben rappresentata è quella italiana. Non solo quantitativamente, ma anche culturalmente. Perché Reading ospita uno dei dipartimenti di italianistica più celebri e importanti dInghilterra, oggi formalmente parte del dipartimento di Modern Languages, ma fino a ieri conosciuto con il nome che nel 1960 gli diede il suo fondatore Luigi Meneghello: Department of Italian Studies. Meneghello venne qui con una borsa di studio subito dopo la guerra, nel 1947, con l’idea di restarci un paio d’anni per respirare quella «cultura dell’Europa moderna» che in Italia ancora mancava. Ma qui rimase invece fino a quando andò in pensione nel 1980. Nel frattempo, in quei quattro decenni, aveva dato vita a un dipartimento di italiano che divenne non solo il fiore all’occhiello dell’Università di Reading, ma anche il modello per molti altri dipartimenti sparsi nel Paese e nel mondo.  L’autore di Libera nos a Malo e de I piccoli maestri aveva infatti le idee piuttosto chiare su che cosa dovesse essere il ‘suo’ dipartimento: una mini facoltà di lettere all’estero, capace di attrarre nel tempo eccellenti accademici (come Zygmunt Baranski, Nadia Cannata, Christopher Duggan, Giulio e Anna Laura Lepschy, Franco Marenco, Lisa Sampson, John Scott, Chris Wagstaff, Stuart Wolf) e di formare studenti che sarebbero potuti diventare cittadini di una comunità intellettuale transnazionale che aveva le sue radici nella conoscenza della Commedia, del Rinascimento, di Leopardi, Gramsci e Pasolini, del grande cinema neorealista. Un luogo per ibridare metodi e strumenti, per la libera circolazione del sapere e delle idee: cuore in Italia, cervello in Gran Bretagna, sguardo sull’Europa e sul mondo. Nel tempo sono cambiati i nomi e il contesto, ma la sfida e la passione sono rimaste le stesse. Con un’incognita in più, oggi. Un’incognita chiamata Brexit, che pesa come un macigno tanto sulle vite individuali quanto su un progetto collettivo che proprio nel laboratorio umanistico di Meneghello affonda le sue radici. «Qualche giorno fa – racconta con un filo di amarezza Enza Siciliano Verruccio, coordinatrice degli insegnanti di lingua – ho chiesto in classe ai ragazzi che cosa sarebbe cambiato, secondo loro, con Brexit. Mi sono sentita rispondere, quasi con un tono di sfida, “verranno assunti solo insegnanti inglesi”. Sono trasalita: in qualche modo quella risposta diceva a me, a tutti noi, che non eravamo più i benvenuti qui. Che potevamo facilmente essere sostituiti: come fossimo estranei, alieni» Eppure Enza aliena non lo è affatto. In Gran Bretagna dal 1992, ha sposato un inglese da cui ha avuto una figlia, ora undicenne. La sua è una delle tante famiglie miste che sono l’ossatura di questo Paese, e di questa città universitaria. Come le famiglie di Paola Nasti e di Daniela La Penna, le cui biografie riassumono perfettamente quel sogno europeo infrantosi con Brexit. Napoletane, arrivate qui nei primi anni Novanta con uno scambio Erasmus, hanno scoperto a Reading la loro vocazione intellettuale, e qui si sono fermate costruendo le loro carriere e divenendo la colonna portante di Italian Studies. Paola, dantista citata in tutto il mondo per i suoi lavori sull’influenza della Bibbia nella Commedia, ha sposato un geologo inglese, e in Inghilterra ha visto nascere e crescere i suoi due figli. Daniela, raffinata studiosa di letteratura contemporanea – suo uno dei saggi fondamentali sulla poetessa Amalia Rosselli – ha sposato un neozelandese, anche lui professore a Reading e da poco cittadino britannico. E sono inglesi anche il marito di Chiara Ciarlo e il compagno di Rita Balestrini, insegnanti di lingua italiana di grande esperienza da anni in forze a Italian Studies.   Ancor meno alieno è – almeno sulla carta – l’anglofono Charles Leavitt, che dagli Stati Uniti è venuto qui a insegnare letteratura italiana contemporanea e cinema, raccogliendo con successo il testimone di uno dei maggiori esperti di cinema italiano al mondo, Chris Wagstaff. Almeno sulla carta, si diceva: nato nel Minnesota, studi di italiano nelle università di Oregon e Notre Dame, Chicago, sposato con un’americana che insegna francese in una scuola della zona, e padre di un bambino nato pochi mesi fa proprio qui, su  suolo britannico, Charles non sarà toccato dalla Brexit per il semplice fatto che lui la trafila dell’immigrato overseas (come si chiamano le persone che vengono da fuori l’UE) l’ha già fatta, e sa quanto sia complicata, snervante.  Destini individuali e di gruppo si mescolano, quando si parla di Brexit. Perché l’incognita non investe solo le scelte personali, ma anche lo scenario di un’università che sarà probabilmente depauperata di risorse (le borse Erasmus, tanto per fare un esempio) e dei tanti studenti provenienti dalla UE. Senza contare che il rischio che anche l’accademia – in UK per definizione internazionale e multiculturale – si chiuda su se stessa è più reale di quanto sembri: venendo meno i cervelli, verranno meno le idee. C’è il timore fondato che un certo isolamento culturale si affiancherà alle tante diseguaglianze sociali che già esistono, qui più che altrove: che non soltanto la generazione Erasmus possa presto diventare un ricordo, ma che anche la mobilità dei docenti – dice Carla Battelli, Lettrice di ruolo e garante del sostegno della Farnesina nei confronti di Italian Studies a Reading – possa subire un contraccolpo. Altro che le magnifiche sorti e progressive strombazzate da May e dalla stampa popolare: si vaticina un enorme salto all’indietro, invece, di cui pagheranno le conseguenze proprio i più giovani. Eppure non è tempo di resa, questo. Anzi, è tempo semmai di far capire ai giovani quanto sia importante provare a lasciare la comfort zone dell’anglofonia per buttarsi a capofitto nello studio delle lingue. E non è un caso che l’interesse verso le lingue non solo non sia diminuito dopo il 23 giugno 2016, ma sia addirittura aumentato. Noi la nostra parte continueremo a farla, malgrado Brexit. Abbiamo sempre cercato di essere «costruttori di ponti», per citare un europeista non sospetto come Alexander Langer: ponti tra Italia e Inghilterra, tra il passato e il presente, tra discipline diverse, tra persone di diversa estrazione sociale e culturale. Qui a Italian Studies a Reading abbiamo deciso di non porre sbarramenti in ingresso: anche chi è uscito dal college con voti medi può iscriversi da noi, cominciare gli studi di italianistica da zero. E se questo in parte ci penalizza sul piano delle statistiche, ci gratifica però sul piano dell’impegno e dei risultati. Perché vediamo, ogni giorno, quando sia importante offrire una chance a tutti, e di tutti sondare le potenzialità attraverso lo studio delle lingue e delle culture altrui.  Ecco la risposta migliore alla Brexit: convincere i più giovani ad aprirsi, a non spaventarsi di fronte alla complessità e alla diversità. Alla fine del mio corso su lingua e migrazioni, quest’anno, gli studenti mi hanno detto che non solo hanno rivisto i loro preconcetti su migranti e rifugiati, ma che hanno anche ripensato all’idea stessa di confine. Perché non c’è Brexit che tenga di fronte al desiderio di viaggiare, di conoscere, di oltrepassare le artificiose barriere che la politica sta imponendo. Sarà anche vero che – parafrasando un celebre passo de Il dispatrio di Meneghello – Reading è solo «provincia»: ma è provincia del mondo. E i nostri studenti, per fortuna, lo sanno.

Testo di Federico Faloppa

2,112

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